martedì 13 marzo 2012

ho fatto un sogno...


Ho fatto un sogno. Uno di quei sogni pomeridiani e domenicali, quando ci si addormenta un po’ per recuperare le forze; di quei sogni che ti impressionano e che quando li racconti, temi di non riuscire a trasmettere agli altri, le emozioni che hai provato. Emozioni forti, urlate, libere dal controllo del Super Io; emozioni che piangono e si disperano.
Non era un incubo, ma proprio perche non lo era, mi ha spaventato la sua potenza.
Mi trovo in una riunione. Il tavolo rettangolare è molto lungo e non è allineato a dovere. Verso il fondo, mano a mano che ci si avvicinava al posto del capo-tavola, si incurva in modo poco naturale, non permettendo a quelli seduti nella medesima fila di vedere parte dei colleghi presenti.
I partecipanti erano oziati e il gruppo appariva disordinato; qualcuno era seduto molto staccato dalla sponda del tavolo, qualcuno poggiava il sedere su di una sedia messa per traverso. Tale situazione restituiva un senso di confusione e negligenza. La riunione era composta da operatori misti, intendo dire che i ruoli erano svariati. Si trovavano alcuni dirigenti di età, dedicati a relazioni politiche o a compiti tecnici, e vi erano operatori di base, giovani educatori. Molti tra i partecipanti non staccavano gli occhi dal cellulare o dal pc portatile.
Mi si avvicina Francesca, quella Francesca che conosciamo tutti e mi dice “guarda non ci si ascolta”.Mi innervosisco e le rispondo che si deve fare valere, che è impensabile non riuscire a farsi sentire; poi mi  accorgo che sono stata troppo brusca e ciò che lei prova è quello che provo io. Rabbia ed impotenza.  Ciascuno è un isola a sé e l’indifferenza, e a tratti il rancore, è palpabile, presente.
Allora, senza pensare troppo ma temendo che il mio stato di salute (ho qualche acciacco) non me lo permettesse, battendo contemporaneamente le mani sul tavolo, alla maniera di “Fragole e sangue” (film cult) urlo in modo ritmato: “Siamo operatori sociali e dobbiamo curare l’ascolto, avere  attenzione alle parole. Se non ci ascoltiamo fra di noi come sarà possibile ascoltare le persone che seguiamo: come è possibile che non riusciamo a stare dalla parte di chi non è ascoltato, soprattutto se è un collega, un pari”. Urlo così forte, flettendo il tempo  al suono dei colpi delle mani, che temo di non farcela. Con grande liberazione mi accorgo di essere riuscita ad azzittire i buontemponi, di essere riuscita ad attirare la loro attenzione. Lo sforzo è stato grande ma forse ne vale la pena.
Allora decido di alzarmi, e camminando intorno al tavolo e dunque dietro le spalle dei colleghi, racconto che negli anni novanta si partiva sempre dall’equipe, dal punto di vista dell’operatore in relazione agli altri, dalle loro emozioni, dal senso che essi davano al loro lavoro; e si lavorava, udite udite…sul benessere dell’operatore.
In quegli anni, fino agli inizi del 2002 circa, si facevano le supervisioni, l’equipe si esprimeva su quale formatore voleva, a partire dai bisogni e dalle fantasie di ogni uno e dell’equipe nel suo insieme.
Racconto, sempre camminando sulla scena, o meglio sul setting, che si lavorava molto sul ruolo dell’operatore, sull’asimmetria della relazione, sul transfer; senza trascurare mai il fenomeno che si trattava, fossero ragazzi a rischio, o diversamente abili o donne maltrattate.
In supervisione si portava il caso ma si narrava di se stessi e di come si interagiva con i sentimenti dell’altro. In quegli anni, le supervisioni era di due ore e passa; spesso si piangeva e molti di noi hanno scoperto quali fossero le reali motivazioni che ci spingevano al mestiere della relazione d’aiuto. Molti scoprivano di credersi onnipotenti e dunque dominatori e dipendenti. Altri scoprivano di dover lavorare sull’autorevolezza, che l’utente non è il tuo vicino o un amico di merende.
Si piangeva spesso, perche si parlava di sé e dell’amore, qualche volta malato ma pur sempre amore, per la professione.
Ci innamoravamo dei nostri supervisori, diventavano i nostri maestri. Qualcuno di noi intraprendeva un percorso personale utile alla professione e alla vita privata. Quando si trattava il caso si mettevano in pratica cambiamenti utili, cambiavamo noi e cambiava l’utente. Imparavamo a non portarci il “caso a casa”. Imparavamo a tenere il ruolo anche con i dirigenti che stimavano l’impegno e riconoscevano la professionalità.
Mi sveglio, sono felice di aver trovato in me l’energia per urlare forte; sono felice perche ho raccontato come si puo’ lavorare, che esiste un altro modo: partire da noi stessi.

2 commenti:

  1. Siamo su un'isola virtuale, ho impiegato un pò di tempo a ritrovarla, ma ora l'ho riconosciuta.
    Giuliana, col suo sogno mi ha guidata. Grazie.
    A volte basta questo, un messaggio in una bottiglia che arriva sul lido, un gesto semplice ma intenso, impregnato di umanità, per creare una contaminazione, un metissage, come ama dire E.Glissant.
    La rabbia e l'impotenza di cui sogna Giuliana esistono, e poterle riconoscere, chiamandole per nome, gli restituisce dignità. Sono sentimenti nobili, nel momento in cui li vivi con consapevolezza.
    Ricordo le supervisioni, il partire da noi stessi, la decisione di mettersi in gioco, in discussione, le arrabbiature, i pianti..rimembro tutto e in questo tutto ci sono io, ci sono loro..i mille volti del lavoratore del sociale:
    il formatore;
    il terapeuta;
    il maieuta;
    l’interprete;
    il militante;
    il riparatore;
    il trasgressore;
    il distruttore.

    Vi lascio con questo elenco di possibilità di agire modelli e fantasmi..se troverò altre contaminazioni ve li presenterò. Sono talvolta simpatici, io li ho conosciuti ed esplorati dentro il mio agire, un pò tutti..

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  2. il mediatore;
    l'imboscato;
    l'addolorato;
    il distruttore;
    categoria appartenente a quelli che il rancore se lo tengono dentro e diventa il carburante delle relazioni: con gli utenti sono espulsivi e con i colleghi vendicativi. Potrei continuare così per ore. Il profilo è quello, lo conosciamo e a me personalmente fa arrabbiare. In tempi di crisi, tale appartenenza, si fa sentire, è florida ed attiva. Ma noi siamo persone pazienti. Gli elenchi mi piacciono moltissimo!!! grazie!!!

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