martedì 14 febbraio 2012

precariato

ecco l'articolo relativo all'incontro sul precariato che ha visto la partecipazione di due lavoratori del sociale e la testimonianza scritta di un "precaria" lavoratrice del sociale.

http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/genova/2012/02/precariato-un-pessimo-baratto---m5s-genova.html


Precariato: un pessimo baratto - M5S Genova


Genova - 
10 febbraio 2012 - di Iliana Pastorino
Martedi sera abbiamo organizzato a Genova una rappresentazione dello spettacolo "Professione precario", ideato da Ivano Malcotti e recitato da Mirco Bonomi con l'accompagnamento di chitarra e "voce di contrappunto" di Davide Canazza, un brillante monologo semiserio (o forse meglio dire tragicomico) incentrato su una serie di aneddoti non così improbabili e sulle riflessioni di un precario, ormai talmente cronicizzato nella sua situazione da definirsi "precario professionista".
Al termine dello spettacolo, hanno fornito un utile spunto di riflessione gli interventi di due lavoratori dei servizi sociali, che hanno testimoniato l'insostenibile situazione di questo settore che, sgretolandosi di fatto sotto i colpi inferti dai tagli di bilancio, trascina con sé una parte importantissima dello stato sociale (basta pensare all'assistenza ai disabili, agli anziani, ai minori in situazioni svantaggiate, ecc.).
In particolare mi hanno colpito le parole riportate da uno di loro e scritte da una collega di Napoli trasferitasi da tempo a Genova, che non ha potuto partecipare perché impegnata in uno dei quattro lavori, tutti precari, che è costretta a svolgere per riuscire a tirare avanti. In quelle poche righe ho sentito condensata tutta la rabbia e la frustrazione di moltissimi giovani che come lei hanno scelto con vero interesse e passione un percorso formativo specifico, conseguendo brillantemente titoli di studio qualificanti (laurea, master, ...), per poi affacciarsi ad un mondo del lavoro che non solo non è in grado di sfruttare le loro abilità e le loro professionalità, ma li costringe spesso e volentieri a metterle da parte per riuscire a sopravvivere, accontentandosi di lavori precari quando non in nero, senza alcun futuro. Forse la conseguenza più brutta di questa situazione è vedere la passione e la motivazione di questi ragazzi che progressivamente si spengono per lasciare il passo alla rassegnazione.
Basta ascoltare queste esperienze per rendersi conto che il modello di sviluppo su cui si vorrebbe basare il nostro Governo, per compiacere le banche europee, non può funzionare: tutti i giorni ci sentiamo ripetere che il mondo del lavoro a cui eravamo abituati è finito, che d'ora in poi ci aspettano precariato, flessibilità e disponibilità agli spostamenti, che lo stato sociale ed i diritti dei lavoratori sono residuati di epoche antiche e non ci permettono di essere competitivi, ostacolano il "progresso"...già, peccato solo che i sistemi di accesso al credito non siano mai contemplati in questo continuo progredire...quelli restano sempre fissati a parametri tradizionali e va bene così: un titolare di un'azienda potrà ottenere ad occhi chiusi dalla banca il finanziamento per aprire l'ennesimo stabilimento in Romania, grazie alla competitività acquisita sulla pelle del suo dipendente precario che per contro non si vedrà mai concesso un mutuo per la prima casa dalla stessa banca. Evidentemente il precario dà maggiori garanzie al suo datore di lavoro che non viceversa.
Una persona razionale è portata a pensare che i modelli di sviluppo debbano perseguire benessere e progresso per tutti, ma questa visione cozza con queste contraddizioni, così come cozza con l'ultima infelice uscita del ministro del lavoro, sul fatto che gli italiani vogliono il posto vicino a mamma e papà...scusi signora Fornero, ma se, secondo la sua ferrea logica, la soluzione al problema è spostarsi lontano da mamma e papà, ci spiega dove dovremmo andare? Dovremmo lasciare una città piena di anziani soli perché i figli sono andati a lavorare...dove? All'estero? Torniamo all'annoso problema delle fughe dei cervelli, o alle emigrazioni di massa, alla faccia del tanto millantato progresso? O in altre città italiane, dalle quali altri giovani saranno partiti lasciando mamma e papà per andare a cercare lavoro "altrove"?
Il problema è questo: la sua frase presuppone che esista un "altrove" che pullula di posti di lavoro per i nostri giovani...io non so dove lei viva, ma inizio ad avere seri dubbi che non sia l'Italia...
Intanto si continua a vagheggiare di liberalizzazioni e liberismo, termini che, intesi "all'italiana", preludono a un imprenditorialismo selvaggio e sconsiderato, alla ricerca del maggior profitto personale senza un minimo di ritorno sociale, e comunque un modello che, così come è stato attuato finora, sta portando praticamente ovunque malessere sociale e disoccupazione sempre più diffusi, enormi indebitamenti degli stati e ricchezza per pochissimi.
E mentre l'italiano medio viene blandito con la promessa dell'agognato abbattimento delle caste, così potremo diventare tutti farmacisti, notai, tassisti, avvocati o architetti, come se le libere professioni bastassero a fornire il pane per tutti, si va di nuovo all'attacco dell'articolo 18.
Leggo sul Fatto che una delle ipotesi messe in campo è quella di sostituire il diritto di reintegro per il lavoratore ingiustamente licenziato con un'indennità economica oppure con l'ipotesi di far scattare anche per il licenziamento individuale la mobilità.
In merito a quest'ipotesi Luciano Gallino commenta: "C'è una grande differenza tra una legge che dice "non puoi licenziare per ingiusta causa" e una ipotesi di monetizzazione. Scambiare denaro con diritti significativi è un pessimo baratto.
Quest'ultima frase mi sembra adottabile anche al di là del contesto, perché prefigura un'inversione di rotta rispetto alla tendenza generale (e non solo in Italia) delle attuali politiche sociali e del lavoro...soprattutto se pensiamo che i diritti che scambiamo sono i nostri, acquisiti nel tempo con lotte, fatica e determinazione, mentre il denaro non lo sarà di certo...se ci va proprio bene, al massimo ci toccherà qualche briciola.

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